Alan Wallance, maestro occidentale di buddismo, racconta: “Immaginate di camminare su un marciapiede, carichi di sacchetti della spesa, siete urtati in malo modo, vi trovate sporchi di pomodori, uova rotte. Vi girate per inveire contro la persona, vi accorgete che è un cieco, anche lui sporco della vostra spesa. Dalla rabbia passate subito a chiedergli se va tutto bene, se ha bisogno di aiuto.”

Ottima rappresentazione di come il comportamento cambia se consapevoli della realtà. Se si è reattivi agiamo come se si stesse guidando un’auto senza tenere le mani sul volante, ignorando cosa realmente si sta facendo. Il volante è la mente. Ignoranza? Pensieri continui, non filtrati dal discernimento, con attaccamento al sé, ci immergono in una realtà convenzionale, connessa alla competitività. Il processo non controllato della mente dà al sé una forma quasi fisica, aumentando l’attaccamento, a sostegno della reattività. L’altro diventa l’antagonista, senza possibilità di reciproca fiducia. Risultato afflizioni e sofferenza continue.

Motivazione Bodhichitta, è chiamata la compassione nella filosofia buddista. La motivazione altruistica, rappresenta l’alternativa. Si lascia l’attaccamento al sé, cominciando a controllare la mente, con al primo posto gli altri e non il proprio sé. Questo ribaltamento nella mente porta a nuove strade, allontanando afflizioni e sofferenza. Viviamo solo se conviviamo con gli altri esseri umani, interconnessi, a favore della felicità, un vivere in armonia, percorsi diversi stesso fine. L’intrinseca natura umana è amorevolezza. L’ego restringe il campo di azione, la compassione lo allarga a dismisura. Otto miliardi di esseri umani, tutti in affitto sulla terra, impegnati in uno stesso fine, la felicità, non può essere che sia lotta di sopraffazione, bensì un cammino comune, caratterizzato da condivisione, vicinanza, gioia per il raggiungimento dello scopo di altri esseri umani. Sola possibilità di gioia profonda e duratura è lasciare l’attaccamento al sé e considerare gli altri più importanti, trascinando le relazioni umane in una dinamica positiva. Abbiamo capacità di ragionare, cioè discernere, attrezzati di parola, che permette di comunicare privi di reattività o arroganza, il tutto condito dall’amorevolezza, caratteristica della natura umana. Questi preziosi optional sono a favore del vivere al meglio la propria esistenza e scopo. La reattività focalizza vincere per esistere, competizione. Negli anni ottanta un’equipe italiana diretta dallo scienziato Giacomo Rizzotto ha scoperto una categoria di cellule cerebrali denominate “neuroni a specchio”. Il risultato, oltre a dare sviluppo alle neuroscienze, ha dimostrato che per il loro tramite proviamo emozioni, empatia spontanea per i nostri simili, facilitando connessione. Forti di questa notizia, è necessario fare uno sforzo, guidare la propria mente, prendere il “volante” in mano, indirizzando la nostra esistenza verso orizzonti più vasti e profondi, realtà ultima. Abbandonando le autostrade neuronali ripetitive della reattività, imboccate in automatico perché conosciute, produttrici di paura, che non permettono di trovare il personale scopo. Controllare la propria mente, è un fine positivo, direzione coerente alla nostra natura, libera dalle afflizioni, causate dalla separazione dagli altri esseri umani.

La compassione, come spiega la filosofia buddista è qualcosa di naturale, se si vede un bimbo in difficoltà lo si aiuta, non si sta a pensare, si agisce. Tutti noi l’agiamo, senza pensare. Quando accade si prova pace, armonia, soddisfazione, cambia la qualità della vita.