La solitudine spesso è considerata una situazione negativa, tant’è che si dice “è una persona che soffre di solitudine”. La sofferenza abbinata alla solitudine esiste quando, nel silenzio, non si riesce a restare in contatto con sé stesso, una mancanza di complicità e vicinanza a sé. Può succedere che si viva senza sapere chi si è veramente, vagando nella vita, senza trovare il personale senso.

Nel silenzio e nella solitudine ci si ascolta, si volge il proprio orecchio interiore al conoscere sé stesso. Nella cultura occidentale, in particolare, esiste un adeguamento a modelli e a ruoli esteriori, niente a che fare con la reale natura umana. Questo allontanamento crea spaccatura interiore, quando la si contatta si scivola, ci si allontana, rifugiandosi nelle stimolazioni esterne o in un perenne fare.

La natura umana è amorevolezza, collegata a un aspetto spirituale, che una volta incontrato non si è disponibili a lasciarlo andare; porta pace, fa sentire connessi a uno spazio più ampio e equilibrato, che appartiene all’essere umano, dando il giusto valore alla materia, il giusto valore all’amorevolezza intangibile, linguaggio delicato del cuore che necessita di solitudine e silenzio per essere ascoltato.

La solitudine, conoscendosi di più, non porta sofferenza, bensì il privilegio di stare con sé, lasciando inutili orpelli accumulati da comportamenti abitudinari e condizionamenti, dando spazio a chi si è veramente, manifestandolo per rendere il mondo un posto migliore, di pace e relazioni equilibrate.

Potrebbe essere che qualcuno dica “eh bello, ma è troppo idealistico”. Non concordo. Ognuno emette onde, come un’antenna; dall’essere vivo si ha responsabilità di realizzare il meglio di sé, in termini positivi e profondi, sostanziale evoluzione, non solo per sé. Se ci si guarda intorno, il disagio, il sentirsi spersi in balia di superficiali adeguamenti esteriori sono sempre più dilaganti. L’origine sta in quella spaccatura interiore, che è possibile eliminare.