Vi racconto alcune delle mie esperienze spirituali, definite tali perché fuori dalla dimensione del tempo ordinario, quello lineare. Questo vissuto mi ha dato la determinazione nel proseguire i miei studi al riguardo, sostenuti dalla meditazione, dal respiro, dalla cura del corpo attraverso il cibo, lo yoga e il silenzio.
Avevo 25 anni e nessuna consapevolezza circa questi argomenti, era appena morto mio padre. Durante un avvenimento intimo si è sprigionata improvvisamente tutta l’energia che avevo trattenuto in quell’anno doloroso, l’affrontare la prematura malattia di mio padre e la decisione di porre fine al mio primo matrimonio. Ho perso il contatto con la persona vicina, con il dove mi trovavo, ho perso la sensazione del mio corpo e sono volata in una luce cangiante verso l’altro, in uno stato di beatitudine non umana e non vulnerabile, c’era solo la mia mente, nella vacuità non nel vuoto. Non ho parlato con nessuno di questa esperienza per diversi anni, sebbene sia rimasta dentro di me in modo indelebile. Temevo di non essere creduta e giudicata fuori di testa. Poi grazie a miei studi negli anni sono riuscita a dare il giusto significato a questa preziosa esperienza.
Intorno ai quarant’anni ho iniziato un percorso sul respiro consapevole, durante una sessione sono nuovamente uscita dal mio corpo. Mi sono trovata in una tribù indiana, morente per parto. Intorno a me c’erano mio marito, il neonato e la comunità dei saggi anziani, che consideravano la nostra unione particolarmente elevata. Quando sono morta sono volata in alto, vedendo tutto il contesto, una intoccabile pace aveva sostituito la sofferenza e dicevo, con la mente, al mio compagno di stare sereno andava tutto bene. Alla luce di questa esperienza ho ricordato che dai quattro anni fino ai sei o sette ero sempre alla ricerca di materiale dei nativi americani, figurine, fotografie, ci pensavo sempre, con tanta nostalgia e desiderio di incontrarli. Poi intorno ai sette anni mi sono detta “Smettila di pensare agli indiani altrimenti ti ritroverai in America e non riuscirai più a tornare a casa perché non conosci l’inglese.” Dopo tanti anni e sempre grazie ai miei studi ho compreso l’esperienza e la mia affermazione di bimba. Dopo un paio di anni ho avuto l’occasione di partecipare a un percorso di un mese a Yosemite Park, con nativi americani, Lakota. In quel frangente ho riappacificato la mia nostalgia verso questo incredibile popolo. Mi sono sentita molto fortunata, cogliendo un ulteriore importante significato.
Alla luce della visione della mia vita da indiana ho cercato una persona che facesse regressioni. Un’amica me ne ha indicata una molto brava. Vivevo a Milano. Ci siamo incontrate in un appartamento in Corso Venezia, in pieno centro, particolare importante. Mi ha condotta in un rilassamento molto semplice e dopo poco ho sentito un forte bruciore alle mucose del naso, come quando ci si tuffa in un mare molto salato. Una marcata e concreta sensazione fisica, alquanto improbabile visto dove mi trovavo, seguita dalla visione mentale di una mia esistenza vissuta in mare, dove sono morta tagliata in due dalla prua di una nave. Mentre scendevo verso il fondo del mare una voce mi ha accompagnata dicendomi “Non ti preoccupare, non è ancora il tuo turno”
“Mille anni un giorno, un giorno mille anni”, ci sono esperienze, come ha affermato uno scienziato come Einstein, che si vivono all’esterno del tempo lineare, all’interno del “campo”, descritto dalla fisica quantistica. Esiste un riconoscimento interiore ben chiaro che riconosce la realtà dell’esperienza. Nel prossimo articolo scriverò alcune considerazioni circa queste esperienze.
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